sabato 10 maggio 2008

Contusu de "Sa Rutta"

Era una fredda giornata del 1958, io avevo solo otto anni. Abitavamo tutti assieme nella casa di campagna di sa Rutta. Eravamo in sei in famiglia, il nonno Riccardo, la nonna Annunziata, mamma Cenza, mio fratello Umberto, io e Pupa; papà era già andato via.Quella sera pioveva e, come tutte le sere d'inverno, eravamo tutti intorno al camino. Mamma preparava la cena, una minestra calda e pane abbrustolito sulla brace.C'era freddo e per scaldarci nonno aggiunse della paglia di fave sul fuoco. A me non piaceva l'odore del fumo, ma adoravo riscaldarmi al caldo della fiamma, così talvolta mi sedevo dentro il caminetto, affianco al gatto grigio dal pelo bruciacchiato. Mentre aspettavamo la cena di solito nonno ci raccontava qualche vecchia storia, di quelle che si raccontano da centinaia d'anni nelle famiglie di campagna. I racconti erano spesso spaventosi per noi bambini. C'era "su Diau" (il Diavolo), sempre presente nelle storie del nonno sotto forma di un caprone che scalciava, dagli zoccoli sprizzavano scintille del fuoco dell'inferno. C'erano gli spiriti della vecchia casa dei Crobu che sbattevano le porte, distruggevano i mobili e facevano strani spaventosi rumori. E per i bambini più piccoli, che facevano i capricci perché volevano uscire in cortile, c'erano "is mazzamurrusu", una sorta di gnomi col berretto verde che ballavano sul muro di casa... era capitato anche a me di vederli una volta! Ma quella sera il nonno ci parlò dell'anno 2000, l'anno in cui, si diceva, ci sarebbe stata la fine del mondo. Io e Pupa ascoltavamo con attenzione e un po di paura, Umberto stava da una parte, seduto a tavola e leggeva, lui era grande e non stava più a sentire il nonno... Nonna Annunziata uscì in cortile a prendere dell'altra legna quando la sentimmo urlare. Nonna rientrò di corsa urlando "Oiommommia, esti sciaendisia su mundu!" (Oddio, si sta disfando il mondo!). Ricordo che anche noi cominciammo ad urlare spaventati...
Solo nonno Riccardo si affacciò fuori a vedere cosa stesse accadendo, il cortile riluceva di scintille che venivano dall'alto... sollevò gli occhi e, resosi conto dell'accaduto rientrò in casa e con la sua voce alta e calma disse "No esti nudda, adi pigau fogu sa zimminera...", aveva solo preso fuoco la canna fumaria... Nonna era ancora spaventata e anche noi eravamo un po in ansia.Ricordo che mamma allora chiamò a tavola e di fronte ad un piatto di minestra calda dimenticammo subito tutte le nostre paure... Dopo cena ci sedemmo ancora intorno al fuoco e mentre nonna Annunziata lavava le stoviglie, mamma ci intratteneva con qualche altra storia. Quella sera ci raccontò di aver sognato che in un certo punto della casa di zia Nuccia c'era unu scruxioxiu nascosto (un tesoro) fatto di monete d'oro. Su scruxioxiu si trovava sotto terra e sopra c'era unu laccu (una macina) in pietra. Le fu detto di presentarsi a mezzanotte nel punto indicato con una persona che la aiutasse a raccogliere il tesoro... ma lei ebbe paura e non ci andò così fu assegnato ad un altro che, si dice, lo trovò esattamente dove indicato nel sogno. E così un'altra sera era passata ed era arrivata l'ora, infine, di andare a letto...

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Un'antica preghiera da Osilo...

Quasi per caso, chiaccherando del più e del meno tra vicini di ombrellone... si riscoprono ricordi e tradizioni...
Devo ringraziare Paola Fadda per questa antica preghiera... questa versione viene da Osilo (SS). Chiedo scusa in anticipo a tutti coloro che conoscono e sanno scrivere in dialetto di Osilo, io non sono in grado... ma mi sembra giusto salvare questo piccolo pezzo di tradizione della Sardegna.
La preghiera veniva recitata dalla mamma Antonina per mettere a letto i figli...
"Su lettu meu est de battero cantones, battero anghelos si bi ponede, duoso in pese e duoso in cabitta, sa Regina a costau m'istada. Issa mi narada: "Drommi e riposa, no appas paura de mala cosa, no appas paura de mala fine, s'anghelu Serafine, s'anghelu biancu s'ispiritu santu sa Vergine Maria, tottu a costazu t'istana."
La traduzione dovrebbe essere più o meno così:
"Il mio letto è fatto da quattro blocchi, quattro angeli ci si mettono sopra, due ai piedi e due in testa. La Regina mi resta al fianco. Lei mi dice: "Dormi e riposa, non aver paura delle cose cattive, non aver paura di fare una brutta fine, l'angelo Serafino, l'angelo bianco, lo Spirito Santo e la Vergine Maria, tutti ti stanno a fianco."

Un'altra versione, in dialetto logudorese, mi è stata segnalata da Salvatore Scanu, che ringrazio. La preghiera fa parte della raccolta pubblicata a Cagliari il 2 febbraio 1863, l'autore è Giovanni Spano che afferma di non conoscerne l'autore e di averla sentita raccontare dalla nonna. La preghiera dovrebbe essere intitolata "Aspirazioni agli Angeli custodi".
"Su lettu meu est de battor contones, et battor anghelos si bei ponen, Duos in pès, et duos in cabitta, Nostra Segnora a costazu m'ista, e a mie narat, dormi e reposa, no happas paura de mala cosa, no happas paura de malu fine s'Anghelu Serafine, s'Anghelu biancu, s'Ispiridu Santu, sa Virgine Maria, totu siant in cumpagnia mia mia. Anghelu de Deu custodiu meu custa nott'illuminami guarda e difende a mie, ca eo m'incumando a tie."


A differenze dalla prima versione Giovanni Spano riporta un'ultima frase che più o meno si può tradurre: "Angelo di Dio, mio custode questa notte fammi luce, custodiscimi e proteggimi, io mi raccomando a te."

Se conoscete altre versioni...

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo

Sa domu 'e su para - La casa del frate

Percorrendo la nuova strada Gesico-Villamar, a circa cinque chilometri da Gesico, ma in territorio di Guamaggiore, nascosta nella valle del Rio Salliu, “s’Arriu Sabiu” (fiume salato), si trova una vecchia costruzione ormai diroccata e che va via via scomparendo sepolta da pietre e terra. Per chi conosce la zona non é difficile arrivarci, infatti sulla sinistra, all’altezza de “is contrasa de Leunessi” (contrada di Leunessi), si trova una strada campestre che fiancheggia s’Arriu Sabiu e che dopo circa un chilometro permette di raggiungere “sa domu ‘e su Para”.Alcuni anziani ricordano ancora quella piccola costruzione che di tanto in tanto veniva utilizzata come riparo, ma ora non restano che poche rovine a testimoniare la sua esistenza. Lungo la strada il paesaggio desolato ci porta a pensare a chi, cinquanta e più anni fa, pernottava presso “is domus de Peppi Pai” (le case di Peppi Pai), anche di queste non restano che vecchi ruderi visibili alla nostra sinistra. In quei tempi i bambini di cinque o sei anni venivano portati in campagna e lasciati a custodire il gregge. Questi piccoli uomini avevano paura, specialmente la notte, ma allora così era la vita. Per raggiungere le rovine bisogna camminare lungo il sentiero per circa venti minuti, tra cespugli di “tramatzu” e di “moddizzi”, ammirando splendidi pennacchi di “cruccuri” per giungere “assa domu ‘e su Para”. Alla sinistra, poco sotto Bruncu Murcioni, possiamo vedere Nuraxi ‘e Accasa”, ma noi ci fermiamo prima, quando vediamo le prime tracce di pietra lavorata.
Di fronte a noi si apre un foro circolare di circa tre metri di diametro e profondo circa un metro e cinquanta. Si tratta dei resti di una costruzione in pietra lavorata, di forma circolare, che presenta un ingresso sul lato Ovest. Il pavimento é stato rimosso e si può notare che la costruzione é poggiata su una fila di pietre non lavorate. Su di queste si trovano tre file di pietre lavorate. Le mura sono spesse circa ottanta centimetri e, ad un esame sommario, sembra che siano costituite da due file di pietre lavorate a T, la fila esterna presenta la faccia convessa lavorata mentre la fila interna presenta la faccia concava. Tra le due file si trovano delle pietre di dimensione ridotta legate con fango e terra. Per poter essere certi del metodo costruttivo e quindi risalire allo stile architettonico e cercare di datare la costruzione bisognerebbe intraprendere degli scavi in tutta la zona. Pietre lavorate si possono notare un po’ ovunque, dentro e fuori la costruzione. A circa dieci metri di distanza si trovano i resti di una seconda costruzione di diversa fattura. Le mura sono costituite da pietre di dimensioni inferiori, rispetto alla prima, e non lavorate, legate tra loro con terra. Di questa seconda costruzione resta solo una parte a forma di cupola. Dalla forma si potrebbe pensare si trattasse di un forno o di una cisterna, ma , come già detto, solo degli scavi accurati potrebbero portare alla luce elementi determinanti e chiarificatori. La leggenda popolare racconta che queste costruzioni erano abitate da un frate che viveva nella zona ma non si conoscono altri particolari. Al di là delle rovine de “sa domu ‘e su Para”, che già di per se possono offrire una valida motivazione ad affrontare il viaggio per Gesico e le sue campagne, la zona presenta delle sue caratteristiche peculiari per le quali vale la pena dedicarvi una giornata. Si può raggiungere a piedi o a cavallo, facendo bene attenzione a non recar fastidio alle greggi e chiedendo l’autorizzazione ad attraversare i terreni ai legittimi proprietari al fine di evitare danneggiamenti. Nel periodo piovoso si può assaggiare l’acqua salata de “s’arriu Sabiu”, negli altri periodi dell’anno il ruscello é asciutto. Questo ruscello dall’acqua salata, in passato , si credeva fosse ciò che restava di un antico mare e qualcuno racconta di aver visto degli anelli in ferro infissi nella roccia che dovevano essere utilizzati come attracchi per le imbarcazioni. Nessuno mi ha saputo indicare l’ubicazione di questi anelli, probabilmente perché non sono mai esistiti. Sembra improbabile credere alla storia del mare come a quella degli anelli di ferro,é più facile ipotizzare un deposito di sale a monte della sorgente. Tutta la zona é ricoperta di cespugli di moddizzi, (Lentisco) di questi in passato venivano raccolte le bacche utilizzate per la produzione de “s’ollu e stinci”, usato al posto dell’olio d’oliva; si trova anche qualche cespuglio di tramatzu (Tamerice) i cui rami venivano tenuti nei pollai per allontanare le pulci delle galline. Rientrando possiamo immaginare la vita di quel piccolo pastorello che cinquanta e più anni fa si aggirava intimorito per queste campagne, possiamo quasi vederlo mentre raccoglie le bacche da un cespuglio di “arruabi” per placare la fame e la sete.
Potete farlo anche voi se volete, i cespugli di “arruabi” ci sono ancora ed in settembre le bacche sono mature e saporite.

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Su mobenti (l'asino)

Talvolta la realtà supera la fantasia... e quando si ascoltano i racconti dei nostri vecchi, si scoprono cose dell'altro mondo... che ci fanno sorridere...
Tanti anni fa era usanza l'accompagnare i fidanzati ogni volta che uscivano a passeggio per evitare che facessero danni...
Il compito spettava ai fratelli della donna oppure ai nonni. Talvolta i parenti della donna, quando parlavano del fidanzato, per non farsi capire, usavano dei nomi in codice... in questa storia, per esempio, il fidanzato era chiamato « mobenti » cioè asino.
Era sera e i due fidanzatini erano appena tornati, accompagnati dalla solita scorta, dalla passeggiata, quando cominciò a piovere a dirotto. Il tempo passava ma non accennava a smettere così, ad un certo punto, la padrona di casa decise di far stare il ragazzo a casa loro per la notte... La casa era piccola e la famiglia era grande... così il fidanzato fu sistemato nel loggiato, nella stanza adiacente dormivano i genitori della ragazza e nell'ultima stanza dormivano le donne e il nonno.
Il nonno, che tra l'altro era la loro scorta, non si fidava troppo del giovane e così parlò con il padre di lei che era già andato a letto, avvisandolo della presenza dell'ospite e raccomandandogli di far bene la guardia alle donne. Siccome il padre della ragazza ci vedeva da un occhio solo, il nonno gli disse di sistemarsi in modo da poter vedere cosa accadeva nel passaggio tra una camera e l'altra. Le camere erano infatti comunicanti e per andare in bagno o in cucina si doveva attraversare tutte le stanze...
Il nonno, sospettoso per natura temeva infatti che « su mobenti » tentasse di raggiungere la ragazza durante la notte. Così, mentre tutti dormivano, il padre della ragazza si svegliò per la sete e alzatosi avanzò a tentoni, senza accendere la luce per non svegliare nessuno, alla ricerca della bottiglia dell'acqua che solitamente si trovava sul comodino del nonno... Così, per errore, lo toccò e il nonno, svegliato di soprassalto e ricordandosi della presenza del fidanzato della nipote cominciò ad urlare: « Su mobenti s'est fuiu... su mobenti s'est fuiu... » (l'asino è scappato...) svegliando tutti quanti, ospite compreso, per un semplice bicchier d'acqua!

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Pesce grande e pesce piccolo...

Le favole, i racconti e le tradizioni popolari hanno sempre qualcosa da insegnarci...
A noi coglierne il significato...

Un giorno, durante una festa paesana, due compari, che potremo chiamare Antoi e Marieddu, che non si vedevano da tanti anni, s'incontrarono per caso. Antoi, che si trovava nel suo paese, rispettoso delle regole di ospitalità, invitò Marieddu a pranzo. Così, dopo aver passeggiato per il paese ed essersi aggiornati reciprocamente sulle novità si diressero verso la casa di Antoi.
Antoi non era sposato e così non aveva granché da mangiare a casa, essendo abituato ad un pasto frugale. Nella dispensa vi erano solo due pesci, uno grande ed uno piccolo... Antoi e Marieddu fecero il fuoco assieme e i due pesci furono arrostiti... e più cuocevano più l'odore invitante si spargeva per la casa...
Una volta cotti i pesci, i due compari si sedettero a tavola.
Il Padrone di casa, Antoi, offrì un pesce all'ospite, sperando che prendesse il più piccolo...
Marieddu, non volendo sembrare maleducato, invitò Antoi a servirsi per primo, visto che era il padrone di casa...
Antoi, nonostante fosse affamato, rispose: «No coppai, tu sei l'ospite e a te spetta la scelta... ».
Marieddu allora ci pensò su un attimo e prese il pesce più grande.
Allora Antoi, con grande stupore disse: «Coppai, da lei non me lo sarei mai aspettato... pensavo che avrebbe preso il pesce più piccolo... ».
E Marieddu, per niente turbato, gli rispose: «Coppai Antoi, se avesse scelto prima lei, quale pesce avrebbe preso? »«Ma senza dubbio il pesce più piccolo... », rispose prontamente coppai Antoi.
« E allora ho fatto bene... il pesce grande sarebbe spettato a me in ogni caso... »

Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Chi troppo vuole...

Erano tempi difficili... i bambini giocavano con bastoni e pietre, le bambine con bambole di pezza...
Capitava, talvolta, che ci si contendeva un giocattolo e, allora come ora, si sentiva urlare “E' mio...”, “Nooo, è mio...”
Era in quei momenti che il nonno interveniva, anche per evitare interventi ben più energici di chi doveva lavorare. Seduto ai piedi di un albero ombroso, chiamava a se tutti i bambini: “piccioccheddusu, benei innoi ca si contu...” (ragazzini, venite qua che vi racconto...).

A quelle parole, una torma di ragazzini urlanti si sedeva intorno al vecchio in attesa del racconto. Quando finalmente si era fatto silenzio, iniziava il racconto...
“Una volta in paese passava un fraticello, indossava un saio vecchio e consunto ed un paio di sandali consumati dal tempo... sulle spalle aveva una bisaccia in cui mettere le offerte dei paesani. Arrivava a piedi, ogni anno nello stesso periodo, subito dopo il raccolto. Quell'anno, recatosi nella prima casa, gli fu offerta una “mesuredda” (circa quattro chili) di grano. Il fraticello accettò e riempito il sacco ringraziò, benedì la casa e andò via. Si fermò poco dopo e per evitare di portarsi appresso il sacco chiese ad una contadina di custodirglielo mentre lui proseguiva la questua. Durante la notte le galline, trovato il sacco, si mangiarono il grano. Quando il fraticello tornò, la contadina spiegò l'accaduto ma il frate non volle sentir ragioni e disse: “Mi deve restituire il grano... altrimenti mi da la gallina!”. La donna, addolorata per la perdita ma consapevole delle sue responsabilità, consegnò la gallina e il fraticello andò via.
Prima di proseguire la questua si fermò in una casa li vicino e chiese che per cortesia gli custodissero la gallina. E così fu che durante la notte, mentre la gallina beccava qualche sassolino dal selciato del cortile, i maiali l'aggredirono e se la mangiarono. Quando al mattino si cercò la gallina si trovò solo qualche piuma insanguinata e ci volle poco a capire l'accaduto... Allora il fraticello disse “o la gallina o il maiale”. Non avendo altre galline la padrona di casa gli diede il maiale. Alla sera il fraticello si recò da un'altra famiglia e chiese di tenergli in custodia il maiale fino al giorno dopo e così fu che la padrona di casa mise il maiale nella stalla con i cavalli. Questi, imbizzarritisi, lo uccisero a calci. La mattina dopo, visto l'accaduto, il fraticello disse “o il maiale o il cavallo”e così gli fu dato il cavallo.
Alla sera, come suo solito, il fraticello chiese che gli venisse custodito il cavallo e spiegò che se avesse agitato la testa significava che aveva fame, se invece raschiava la terra con la zampa aveva sete. E così fu che durante la notte al cavallo venne sete. La padrona di casa allora chiamò la figlia e le disse di portare il cavallo a bere. La ragazza prese il cavallo e lo condusse all'abbeveratoio. Quando arrivò all'abbeveratoio c'erano altri cavalli. Il cavallo condotto dalla ragazza si imbizzarrì e scappò via... la ragazza tornò a casa e raccontò l'accaduto alla madre... in quel mentre arrivò il fraticello che, sentito l'accaduto disse “o il cavallo o la ragazza...”E così, non avendo un altro cavallo gli fu data la ragazza! Il fraticello la mise nel sacco e andò via.
Lungo la strada però si fece sera e, vista una casetta di povera gente, il fraticello si fermò e chiese di poter lasciare in custodia il sacco... La padrona di casa accettò. Quando il fraticello si fu allontanato la ragazza, che aveva riconosciuto la voce della nonna, la chiamò e, fattasi liberare, le raccontò l'accaduto. La saggia nonna allora, presi due cani affamati dal cortile li rinchiuse nel sacco al posto della nipote. Al mattino, quando si presentò il fraticello gli fu riconsegnato il sacco e lui felice andò via... Lungo la strada sentiva dei mugolii provenire dall'interno del sacco e lui, credendo si trattasse della ragazza diceva “un po di pazienza... come arriviamo all'albero che c'è lungo la strada ti faccio uscire... e facciamo l'amore...” Così, quando giunsero all'albero lungo la strada, il sacco venne poggiato a terra e aperto... i due cani, con sua grande sorpresa, lo aggredirono...

Così accadde che il fraticello dopo quella brutta esperienza, non tornò più in paese... e tutti i bambini, finito il racconto, ripresero a correre, urlare ed inseguirsi... almeno fino alla prossima storia!

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo

Attittidu

Epicedio (attitidu) che si cantava dai confratelli innanzi al cadavere in casa, prima di portarlo a seppellire, ed ora in alcuni villagi si canta in chiesa a modo di esequie (Sexta torrada).
(Di autore antico)
Tristu die ch’ispettamus
Sos chi in su mundu bivimus,
A unu a unu morimus,
E niente bi pensamus!
(È triste il giorno che attende coloro che vivono nel mondo, ad uno ad uno moriamo, e non ci pensiamo!/non possiamo farci nulla!)

Cunsidera, o Cristianu
Custu mundu falsu, e leve,
Pro chi passat tot’in breve
Pius chi non su sonnu vanu,
Chi benzende su manzanu
Su bentu nos agatamus.
(Considera, o Cristiano, in questo mondo falso e leggero/inconsistente/vago, in cui vita,fatti e vicende accadono/si susseguono talmente in fretta, da essere paragonati alla sorpresa che potremmo avere, quando il vento del mattino, ci coglie alla sprovvista, risvegliandoci da un sonno vano)

Custu mundu est unu fiore
Chi si siccat per momentos,
Suggettu a totu sos bentos
De s’humidade, et calore,
Est unu fumu, e vapore,
Est caschidu chi alidamus.
(Questo mondo è un fiore che si secca solo per momenti, sottomesso/sottoposto/assoggettato a tutti i vento umidi, e caldi, è un fumo di vapore, è uno sbadiglio che alitiamo/respiriamo/emettiamo).

S’esemplu tenimus cughe (1)
De custu corpus defuntu,
Chi de su mund’est disgiuntu,
Feu, tristu, e senza lughe,
Solu sas manos a rughe
Li bidimus, et notamus!
(L’esempio lo teniamo qui, da questo corpo defunto separato dal mondo/dal mondo dei vivi, brutto, triste e senza luce, in cui vediamo e gli notiamo le mani messe a croce)

Bides cun ite reposu
Est corcadu in sa lettera?
Lassad’hat dogni chimera
De custu mundu ingannosu,
Sende ch’est tantu forzosu
Custu passu ch’ispettamus.
(Vedi con quale riposo/in che modo è sdraiato nel letto? Ha lasciato ogni illusione/fantasia di questo mondo bugiardo, poiché il passo che dobbiamo compiere richiede tanta sofferenza)
O morte tant’assortada
Ch’a dognunu faghes reu,
Finz’a su Fizu de Deu
T’attrivisti abbalanzada!
In te reposu no bi hada
Totu in d’una porta intramus.
(O morte tanto fortunata/favorita dalla sorte/che hai avuto sorte, a cui tutti rendi colpevoli/partecipi, ti azzardasti vittoriosa anche col Figlio di Dio! In te non c’è riposo anche se tutti dovremo passare per quella porta)

Segnore cruzzificadu,
O invittissimu marte!
Mirade ch’in s’istendarde
De sa rughe est allistadu,
Cussu frade fit soldadu
De s’abbidu chi portamus!
(Signore crocefisso, o INVITTISSIMU(2) martire! Guardate/Osservate che nello stendardo/nel simbolo della croce è scritto/inserito in lista il nome di quel fratello che era soldato degli abiti che portiamo/della generazione a cui apparteniamo).

Maria, consoladora
De dogn’anima affliggida,
Cust’anima ch’est partida
De custu mundu in cust’hora,
Succurridela, Segnora,
Aggiudu bos dimandamus.
(Maria, consolatrice di ogni anima afflitta, soccorrete quest’ anima che è partita da questo mondo in quest’ora, Signora, chiediamo il Vostro aiuto)

Apostolicu Senadu,
Martires, et Cunfessores,
Virgines chi cum primores
In puresa hazis guardadu,
Si in calchi cosa hat faltadu
A bois l’incumandamus.
(Apostolico Senato, Martiri e Cardinali, Vergini che (proteggete/difendete /custodite/soccorrete) con (singolare/eccellente) purezza, se ha (sbagliato/peccato) in qualche azione, lo raccomandiamo a voi)

Animas de Purgatoriu,
Sas ch’istades pro partire
A sos chelos pro godire,
Dadeli calch’aggiutoriu,
Tale ch’in su Concistoriu
Totu juntos nos bidamus!
(Anime del Purgatorio, coloro che stanno per partire per godere il Regno dei Cieli, aiutatelo, in modo che una volta giunti nel Concistoro avremo la possibilità di rincontrarci!)

Dai s’intrada a s’essida,
Nara, ite nd’has leadu?
De custu ch’has tribuladu
In custa mortale vida,
Si s’amina est desvalida,
Trista de issa, a ue andamus!
(Dall’ingresso all’uscita/dall’inizio alla fine/dalla tua nascita alla tua morte), dimmi, cosa hai (guadagnato?/ottenuto?) Dopo tutto il tribolare durante questa mortale vita, se l’anima svanisce, senza di essa che fine faremo!)

Ue est sa galanteria,
Inue est cudda bellesa?
Ue cudda gentilesa
De sa prima pizzinnia?
Inue est sa valentia,
chi tantu nos pressiamus?
Dov’è la (nobiltà d’animo/cortesia/educazione), dov’è quella (bellezza?/magnificenza?/splendore?) dove quella (gentilezza/bontà d’animo) particolari dell’(infanzia?/prima giovinezza?) Dov’è (la prodezza/il valore/il coraggio) di cui tanto siamo fieri?)

Custu frade chi pianghimus
Heris biu, et hoe mortu!
Gasi demus esser totu,
E puru no lu cherimus,
Bene su colpu fuimus
A su fine non faltamus.
(Questo fratello che piangiamo ieri era vivo, ed oggi è morto! Anche noi saremo così, eppure non vorremmo esserlo, scansiamo bene il colpo ma alla fine anche noi sbagliamo)

In d’unu fossu profundu
Conca a unu murimentu,
Tenet hoe s’appusentu
Pienu de bermes a fundu,
Custa paga dat su mundu
Sos ch’in issu cunfidamus!
(Dentro un profondo fosso con la testa rivolta ad una lapide, sarai contenuto all’interno di una stanza col fondo gremito di vermi, questa è la ricompensa del mondo a coloro che in lui hanno fiducia!)

Timida morte ispantosa
Senz’intragnas de piedade,
Cun nisciunu has amistade,
Cun totu ses odiosa,
Mustradi, morte, piedosa,
Però non nos aggiustamus.
(Morte, temuta e spaventosa senza intenzioni di pietà, non hai amicizie, sei detestata da tutti, mostrati morte pietosa, anche se noi non potremmo (porvi rimedio/pareggiare/concordare/agguagliare)

Tristu die ch’ispettamus
Sos chi in su mundu bivimus.
(È triste il giorno che attende coloro che vivono nel mondo)

a cura di Salvatore Scanu

Affetti del peccatore a Dio per ottenere la sua Misericordia

(Sexta lira serrada).
A sa tua magestade
Sas graves culpas nostras presentamus,
Segnore piedade
Cun su coro contrittu dimandamus,
Rispett’a tantos vissios
Sunt lezeras sa piaes, e supplissios.

Si bene riflettimus
A cantu male hamus fatt’e pensadu
Mancu est su chi patimus,
Penas pius graves hamus meritadu,
Est pius grave s’offesa
De sa chi tolleramus ricumpensa.
Abborrimus sa pena
Chi nos affliggit pro tantu peccare:
Ma sa dura cadena
Non resolvimus ancora truncare,
Pertinazzia tremenda
Chi nos minattat una morte horrenda.
Sa fiacca humanidade
Cun sos flagellos suos si cunsumit,
Però sa iniquidade
Cambiare, o abbandonare non presumit.
Su collu est inflessibile
Sende sa mente in tortura terribile.
Custa povera vida
Suspirat in dolore, e affissione,
Ma no incontrat bessida
Pro s’amendare in s’operassione,
Si ispettas, no emendamus
Si ti vengas, in grassia non torramus.
Cando semus correttos
Cunfessamus su male ch’amus fattu,
Ma sos bonos effettos
Nos durant solamente pro cudd’attu,
Su flagellu zessadu
Cun sa pena su piantu est olvidadu.
Si minattas gastigos
Promittimus emenda, e penitenzia:
Ma che sos falsos amigos
Solu pro su timore e apparenza,
Si suspendes s’ispada
Ogni promissa nostra est accabbada.

Si sa tua giustissia
Cun azzottas nos garrigat sa manu
Perdonu a sa malissia
Clamamus dai su thronu soberanu,
Però a pustis rebellos
Provocamus de nou sos flagellos.
Sos reos has, Segnore,
Cunfessos e convintos declarados :
Depimus pro su errore
Andare giustamente cundannados
Si non nos das in donu
Pro sa clemenzia tua su perdonu.
Sa grassia chi pregamus
Senza meritu, o Babbu onnipotente !
Ottenner disizamus
De te chi nos criesti de su niente
Pro cuddu Fizu amadu
Chi vida, e samben pro nois hat dadu !

a cura di Salvatore Scanu
preghiera di GIOV. BATTISTA MADEDDU (Ardauli)

Gesico - Is berbus de s'ogu pigau (preghiere contro il malocchio)


“Berbu era in Sardo antico il vocabolo ordinario per ‘parola’ [..] oggi si usa solo al plurale (Logudorese: sos berbos; campidanese: is brebus) e significa gli scongiuri e le formole per attirare la fortuna, per allontanare i fulmini, per trovare le cose smarrite, per fugare i diavoli, i dolori ecc. e per far arrivare le pallottole al cuore del nemico;” (La lingua Sarda, Max Leopold Wagner, pag. 103) in questo modo Max Leopold Wagner, descrive il significato del termine ‘berbu/brebu’.
Ma cos’è ‘s’ogu pigau’?
Il malocchio; quando parlo di quest’argomento con gli anziani del mio paese si sente in loro una certa riluttanza, dicono e non dicono, parlano sottovoce, come se avessero paura o meglio, come se fosse un argomento tabù.
La frase più ricorrente è: “.. le formule sono segrete e devono restare tali perché facciano effetto...”.
Qualche anno fa, quando cominciai ad interessarmi di tradizioni popolari, chiesi di sapere quali frasi venivano pronunciate “da su brusciu”(lo stregone) per curare i porri, mi fu detto che ‘is brebus’ non si potevano raccontare, se volevo conoscerli ‘du su deppìu furai’(avrei dovuto rubarli, sottrarli).
Da allora cominciai a documentarmi, chiesi informazioni, cercai sui testi, tesi le orecchie discretamente ogni volta che si toccava l’argomento finché, non so bene se per caso o per costanza, sono riuscito a carpire alcune frasi ‘de sa meiscina de s’ogu pigau (la cura contro il malocchio) .Ho già parlato in altre occasioni di questo argomento (vedi “In Sardegna” n° 16 e “Il Notiziario n° 6), ma sempre in modo volutamente superficiale in quanto ero in possesso di dati incompleti, ora credo sia arrivato il momento di approfondire il discorso in quanto sono venuto a conoscenza di tre versioni de ‘is brebus’ per cui è possibile fare dei raffronti e delle considerazioni.
In primo luogo vorrei chiarire che ‘is brebus’ sono delle preghiere (che potremo comprendere tra la magia bianca) formulate probabilmente nel tardo Medio Evo e trasmesse sempre oralmente per cui ciò che scriverò potrebbe essere in parte errato o incompleto. Affinché facessero effetto, is brebus, dovevano essere recitati da ‘su brusciu’ che avrebbe dovuto rubarli ad uno stregone anziano al termine della sua carriera. Da parte del malato è richiesta fede incondizionata nel guaritore; quando ciò non è possibile, perché il malato è un bambino piccolo o un animale, devono essere i genitori o il proprietario ad aver fede.
Su brusciu serio non chiedeva compenso per la sua opera ma spesso riceveva dei regali per ringraziamento.Alcuni guaritori, prima di effettuare ‘sa meiscina’ si assicurano che il presunto malato sia effettivamente ‘pigau de ogu’, a tal fine utilizzano un bicchiere d’acqua e dei chicchi di grano o di sale grosso che, fatti cadere nell’acqua, permettono all’occhio attento del guaritore di leggere il responso.
Si procede immediatamente dopo alla recitazione de is brebus che spesso terminano con il segno della croce o con la imposizione delle mani. La trasmissione de is brebus era esclusivamente orale si potevano verificare delle variazioni dal testo originale dovute ad incomprensioni, inoltre normalmente, su brusciu o il suo equivalente femminile, “sa coga”(la strega) , non conosceva il significato delle preghiere in quanto alcune volte vi erano termini in latino o greco e conseguentemente non erano in grado di correggere eventuali errori che quindi venivano tramandati. Per chiarezza espositiva chiamerò le tre versioni con una lettera maiuscola (A,B,C) e numererò le righe (per esempio A.13 significa versione A, riga 13) in questo modo si potranno fare dei riferimenti in maniera semplice e concisa. Per ultimo voglio dire che i versi in sardo sono scritti così come si pronunciano senza utilizzare nessun sistema di trascrizione fonetica che risulterebbe utile solo ai conoscitori della lingua sarda ma di difficile interpretazione per tutti gli altri lettori.
Versione A
A.1 Gesusu e Santu Antiogu - Gesù e Sant’Antioco
A.2 T’anti pigau de ogu - ti hanno attaccato il malocchio
A.3 Santu Liberau - Santo Liberato
A.4 De ogu t’anti pigau - ti hanno attaccato il malocchio
A.5 Santu Pianu Conti - Santo Pianu Conti (?)
A.6 Ti pongiu manu in fronti - ti poggio la mano sulla fronte
A.7 Ti pongiu manu in testa - ti poggio la mano sulla testa
A.8 Chi no timmas nottesta - affinché tu non tema questa notte
A.9 E ni per una notti - e nessun’altra notte
A.10 Santu Giuanni Battista - San Giovanni Battista
A.11 Ti torridi cara e vista - ti restituisca il colorito e la vista
A.12 Santa Maria Clara - Santa Maria Clara
A.13 Ti torridi vista e cara. - Ti restituisca la vista e il colorito.
A.14 Santa Lucia de oristanisi - Santa Lucia d’Oristano
A.15 Tottusu beninti imparisi - tutti arrivano assieme
A.16 Dopu de custa notti - dopo questa notte
A.17 Pregai a Deusu - pregate Dio
A.18 Santi Basili dottori - San Basilio dottore
A.19 Ca fusti meigadori - che fosti guaritore (?)
A.20 Fusti meigheri - fosti guaritore (?)
A.21 Paga no pigheisi - non prendete paga
A.22 Non di pigheisi paga - non prendete paga
A.23 Scetti s’anima salva - solo l’anima (abbiate) salva
A.24 E chi si’nda pigau - e chi si è fatto pagare
A.25 sia pedronau - sia perdonato
A.26 Santu Damiau lusci - San Damiano luminoso
A.27 E ti fazzu sa gruxi - ti segno con la croce
A.28 E ti azziu sa manu - ti impongo la mano
A.29 In nomini ‘e su Babbu - nel nome del Padre
A.30 De su Fillu - del Figlio
A.31 e su Spiritu Santu - e dello Spirito Santo.

Versione B
B.1 Gesusu e Santu Antiogu - Gesù e Sant’Antioco
B.2 T’anti pigau de ogu - ti hanno attaccato il malocchio
B.3 Santu Liberau - San Liberato
B.4 De ogu t’anti pigau - ti hanno attaccato il malocchio
B.5 Santu Giuanni Battista - San Giovanni Battista
B.6 Chi ti torridi forza, poderi e vista - ti restituisca forza, potere e vista
B.7 Santa Maria Clara - Santa Maria Clara
B.8 Chi ti torridi sa gana. - Ti restituisca la voglia
B.9 Santa Lucia de Tertenia, d’Escuveri e de Oristani - Santa Lucia di Tertenia, d’Escuveri e d’Oristano
B.10 Tottus bengianta imparisi - tutte vengano assieme
B.11 Po abrebai a tia - per farti gli scongiuri
B.12 Santu Pianu Conti - Santo Pianu Conti (?)
B.13 Ti pongiu manu in fronti - ti poggio la mano in fronte
B.14 Ti pongiu manu in testa - ti poggio la mano in testa
B.15 Chi no timmas nottesta - affinché non tema questa notte
B.16 E ni per una notti. - ne nessun’altra notte
B.17 Luisu manu e dottori - Luigi (?) mano di dottore
B.18 Ca fu meigadori - che fosti guaritore (?)
B.19 Ca fu meigheri - che fosti guaritore (?)
B.20 Paga non di pigheisi - non prendete paga
B.21 Scetti s’anima salva - solo l’anima (abbiate) salva
B.22 E no di pigheisi paga. - E non prendete paga
B.23 Cristo rendi - Cristo rendi (?)
B.24 D’ognia mali defendi - da tutti i mali difendi
B.25 A chini ti dda pigau - a chi te l’ha preso (?)
B.26 Sia pedronau - sia perdonato
B.27 Cosimo e Damianu - Cosimo e Damiano
B.28 Deu ti fazzu sa meiscina - io ti faccio la medicina
B.29 E Deusu ti azzi sa manu - e Dio ti imponga la mano
(ripetere per tre volte)

Versione C
C.1 Gesusu e Santu Antiogu - Gesù e Sant’Antioco
C.2 T’anti pigau de ogu - ti hanno attaccato il malocchio
C.3 Santu Liberau - San Liberato
C.4 De ogu t’anti pigau - Ti hanno attaccato il malocchio
C.5 Santu Patriarca - San Patriarca
C.6 Ti torridi sa tracca - ti restituisca lo scheletro
C.7 Santu Giuanni Battista (nome del malato) - San Giovanni Battista (..)
C.8 ti torridi gana e vista - ti restituisca voglia e vista
C.9 Santa Maria Clara - Santa Maria Clara
C.10 Chi ti torridi vista e gana. - Ti restituisca vista e voglia
C.11 Santa Lucia de Oristanisi - Santa Lucia d’Oristano
C.12 Tottus bengianta imparisi - tutte vengano assieme
C.13 Aintru de custa die - durante questo giorno
C.14 po abrebai a tie - per farti gli scongiuri
C.15 Santu Pianu Conti - San Pianu Conti (?)
C.16 Ti pongiu manu in fronti - ti poggio la mano in fronte
C.17 Ti pongiu manu in testa - ti poggio la mano in testa
C.18 Chi non timmas nottesta - affinché non tema questa notte
C.19 E ni d’ognia notti - e nessun’altra notte
C.20 Santu Pianu Conti. - San Pianu Conti (?)
C.21 Basili mannu dottori - Basilio gran dottore
C.22 Ca furia meigadori - che fu guaritore (?)
C.23 Ca furia meigheri - che fu guaritore (?)
C.24 Paga non ddi pigheisi - non prendete paga
C.25 Scetti s’anima salva - solo l’anima (abbiate) salva
C.26 non ddi pigheisi paga. - Non prendete paga
C.27 Cristo arrendi - Cristo ‘arrendi’ (?)
C.28 D’ognia mali difendi - da tutti i mali difendi
C.29 A chi ti dda pigau - a chi te l’ha preso
C.30 Chi siada pedronau - sia perdonato
C.31 Cosimo e Damianu - Cosimo e Damiano
C.32 Deus ti torri sa vista - Dio ti restituisca la vista
C.33 E ti pesi sa manu - e ti imponga la mano.
Come si può notare le tre versioni sono molto simili e probabilmente d’origine comune, alla base delle ‘preghiere’ è posta la fede nei santi come guaritori.
Ma come nascono queste preghiere e quando? Difficile dirlo, in Gesico non ho mai trovato niente di scritto attinente ai brebus de s’ogu pigau, sembra che questi esistano solo nella tradizione orale, inoltre diventa sempre più difficile trovare qualcuno che li conosca e si ricordi bene a memoria tutto. Probabilmente vengono tramandati da qualche secolo ma non ho trovato alcun riferimento temporale. Per quanto riguarda la provenienza, penso siano nati nel campidano visti i termini utilizzati e la forma delle frasi, anche se alcuni passi mi lasciano dubbioso, sarebbe interessante effettuare uno studio della distribuzione di questi brebus per capire la zona di provenienza. Ho trovato qualche difficoltà nella interpretazione dei termini ‘meigadori’ e ‘meigheri’, potrebbe darsi che questi siano da ricollegarsi al logudorese ‘meigu’ che significa medico e quindi gli si potrebbe dare il significato di ‘guaritore’, questo significato sembra attribuibile, almeno leggendo la versione A, infatti: A17 Santi Basili dottori A18 ca fusti meigadori A19 fusti meigheri… Eppure la versione A è quella che ritengo più incompleta e meno corretta, così, analizzando bene le altre versioni si nota che nella B sparisce ‘Santi Basili’ per lasciar spazio ad un fantomatico ‘Luisu’ (Luigi?) senza dire niente riguardo alla sua santità. Nella versione C si torna a ‘Basili’ senza chiamarlo ‘Santi’, chiamandolo ‘mannu dottori’ cioè ‘gran dottore’. Come mai tutte queste varianti del tema? Si potrebbe ipotizzare che questo passo fosse particolarmente oscuro a coloro che nel tempo si sono tramandati is brebus, la cattiva comprensione del passo originale potrebbe aver favorito il nascere di diverse versioni, eppure a prima vista non sembra che vi siano cose strane (a parte i termini ‘meigheri’ e ‘meigadori’).
In un primo tempo ho pensato che nella versione C fosse andato perduto l’appellativo di ‘Santi’ per ‘Basili’, ma poi, ripensandoci, è strano che solo in una delle tre versioni si riporti questo termine così importante, si potrebbe pensare che ‘Basili’ non sia un santo e che tutta la frase abbia un altro significato.
E’ stato quasi per caso che, leggendo il libro ‘La lingua Sarda’, mi sono imbattuto nella frase “.. magistrato giudiziario ed amministrativo ad un tempo, che rappresentava il giudice nelle singole regioni (curatorìas) e governava a suo nome. Il curatore maiore corrisponde al "megas courator" (courator ton basilicon oikon della corte bizantina)” (La lingua Sarda, Max Leopold Wagner, pagg. 166-167) Ora, la frase ‘Basili mannu dottori’ potrebbe essere una cattiva interpretazione del greco megas=grande=>mannu e courator=curatore=>dottori, quindi il termine ‘Basili’ non è il nome di un santo ma il 'basilicon' or ora visto.
(Maggio 2014) Voglio aggiungere ancora una possibilità, leggendo "Storia della Medicina e dell'Assistenza per le Professioni Sanitarie" di Enzo Cantarano e Luisa Carini, mi sono imbattuto ancora una volta in San Basilio Magno, che istituì il cenobitismo maschile in Oriente. Riporto direttamente dal testo: "nella sua Regola, ispiratrice di quella di San Benedetto, assegnava un posto preminente alla cura del malato. Egli istituì in Cappadocia, regione dell'Asia Minore, la prima struttura ospitaliero-assistenziale, la Basiliade, che costituì esempio per analoghe istituzioni religiose e statali". A questo punto è probabile che l'interpretazione debba andare verso la direzione di San Basilio in quanto precursore dell'assistenza dei malati. 
Vorrei ora evidenziare brevemente le caratteristiche principali delle tre versioni.
I tratti caratteristici della versione A sono: l’uso del termine ‘cara’ come ‘colorito della pelle’; l’appellativo di ‘santi’ per ‘Basili’.
Nella versione B si ha: in B.9 e B.10 si ha concordanza di numero, cosa che non si ha nelle altre versioni. non si cita ‘Basili’ ma ‘Luisu’.
Nella versione C, infine, si può leggere: C.5 Santu Patriarca C.6 ti torridi sa tracca.
Vorrei far notare come nella B e C sia presente la strofa: Cristo (ar)rendi D’ognia mali defendi A chi(ni) ti dd’a pigau Sia pedronau Assente nella A, nella quale compaiono solo le ultime due righe in A.23 e A.24.
Ritengo che le B.23, B.24 e le C.29, C.30 siano da leggere così: a chini ‘de ogu’ t’adi pigau sia pedronau. Il termine ‘rendi’ o ‘arrendi’ non mi è stato spiegato, forse è il termine ‘Rei’ per Re, ma potrebbe anche essere ‘redentore’.
Sono convinto che vi siano ancora tante cose da dire su questi brebus e spero che ciò serva a salvare questi resti di antichità per tanto tempo tenuti nascosti alla conoscenza umana, anche perché queste preghiere giungono a noi direttamente dal passato avendo subito ben pochi cambiamenti, sono quindi testimoni della evoluzione della lingua sarda nel tempo.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

Gesico - Is Muttettus (Canti popolari della Sardegna)



La tradizione orale ci riserva tante sorprese,se solo si ha la capacità di ascoltare gli anziani, unici ed ultimi consegnatari di quest’antico sapere.
In un tempo in cui la vita era fatta di duro lavoro e di sacrifici si aveva la necessità di evadere con la mente, così mentre si era impegnati a mietere il grano a mano, o quando le donne si recavano al fiume a lavare i panni, spesso si trovava ristoro nell’antica arte del canto, che unita alla poesia popolare, ha visto nascere tanti muttettus, che trattavano i più disparati argomenti, ma sempre legati a momenti di vita quotidiana.



Gli argomenti preferiti dalle donne erano chiaramente quelli legati al matrimonio e più in generale all’amore.



Oggigiorno è difficile sentire qualcuno cantare vecchi muttettus, anche se capita che in occasione delle feste popolari, complici la generale euforia e qualche bicchiere di vino in più, qualcuno si lasci andare e trascinato dal suono di una fisarmonica, ripeta a memoria ciò che ha sentito per la prima volta tanti anni addietro.



Ormai la civiltà ha cancellato quasi tutti quei momenti di vita comune che permettevano di sentire, ad un viandante che si trovasse a passare nei pressi di un fiume, tante donne che cantavano, nonostante la fatica, di amori sognati, vicini o lontani.



Si potrebbe dire che la lavatrice e la mietitrebbia, per fare solo due esempi, hanno ucciso is muttettus, come la televisione ha ucciso “is contus de sa zimminera”.



Così spetta a noi tutti impedire che questi racconti, nati tanti anni fa e spesso tramandati di generazione in generazione, facenti parte della migliore tradizione orale, vadano perduti per sempre. Spetta a noi giovani raccoglierli e farli conoscere, scriverli e quindi preservarli dalla fine certa cui andrebbero incontro se lasciati ad un’ipotetica trasmissione orale.

Spesso accade che si tralasci qualcosa perché si pensa che sia “brutto”, superato, poco interessante, poi si cresce, culturalmente, e allora ci si accorge delle occasioni perdute, qualche volta si è ancora in tempo per rimediare, ma sempre più spesso, il depositario di un’antica conoscenza non è più tra noi e così pure quell’antica conoscenza.

In una società basata sulla pastorizia e sull’agricoltura, erano in pochi ad aver studiato e ad essere capaci di leggere per apprendere le nozioni occorrenti per la vita quotidiana, quindi tutti gli insegnamenti avvenivano oralmente, per mezzo di proverbi, racconti, muttettus…Normalmente is muttettus erano preceduti da una cantilena senza alcun senso se non quello di sincronizzare il canto di tutto il gruppo, una di queste suonava più o meno così:

"anninnirannai andirennari anninnirannai"


Ecco un tipico breve esempio di muttettu cantato dalle ragazze quando una di loro si innamorava di un ragazzo di Mandas, paese confinante.

Su campanilli e Mandas

Potta campana a tresi

Su campanilli e Mandas

In su coru miu sei

Insuggillau e non d’andasa

Potta campana a tresi

Insuggillau e non d’andasa

Potta campana a tresi.


Al termine de su muttettu veniva nuovamente ripetuta la cantilena iniziale.

Il tema della solitudine della donna, abbandonata per lunghi periodi a causa del lavoro del pastore, e quello della ricerca dell’uomo da sposare sono testimoniati in quest’altro muttettu:


pastori furria a cottica ses pastori sollu

pastori furria a cotti

po mi donai consollu

n’di torristi sanu e fotti ca ses pastori sollu

n’di torristi sanu e fotti

po mi donai consollu

mamma ponghidi sa mesa

e ponghidi unu coccoi

mamma ponghidi sa mesa

is piccioccus di oi non teninti firmesa
ponghidi unu coccoi

non teninti firmesa

is piccioccus di oi

su muccadori e seda

du spraxiu in s’enna ‘e s’ottu

su muccadori ‘e seda

si passa su piccioccu

e di naru bonassera

du spraxiu in s’enna ‘e s’ottu

di naru bonassera

si passa su piccioccu.


Al di là del significato più o meno importante delle parole, si deve considerare che spesse volte, vecchi muttettus contengono, immutate, parole oramai in disuso, sono quindi testimoni della evoluzione della lingua sarda del luogo di provenienza.

Io penso che is muttettus abbiano diritto ad un posto nei nostri ricordi, assieme alle favole e ai proverbi, per un motivo più semplice ma altrettanto importante e cioè perché ci ricordano una parte della nostra vita, quella legata alla fanciullezza e ai nostri nonni che ci coccolavano e ci viziavano e che tanti ricordi hanno lasciato prima della loro scomparsa.


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO




Gesico nei Libri

Il paese per quanto piccolo, mi è piaciuto molto per il suo territorio, ricco di sorprese "datate"...
Gesico fa parte dei miei vissuti, spezzettati e divisi tra i paesi in cui ho dimorato.
Ciascuno di questi luoghi ha riempito un pezzettino del mio cuore, emozioni ed esperienze diverse che mi hanno portato ad oggi, pregi e "difetti" compresi.
Ho fatto una piccola ricerca di libri che citano questo piccolo paesello nascosto in una vallata della Trexenta in Sardegna. Lungi dall'averli trovati tutti, ma può darsi che qualcuno possa trarne beneficio, se non altro per pura curiosità o conoscenza.
Brevi cenni storici:
Gesico ebbe una storia in epoca medievale, e fu capoluogo della sua baronia nel XVII secolo. Il feudo di Gesico si formò con l'investitura del marchesato di S. Tommaso nel 1769 e durò fino al 1839. Era costituito da grosse proprietà, ufficialmente di circa 1680 ettari, ma a cui si aggiungevano le proprietà della chiesa (dal 1700) e altre. Le proprietà private si costituirono dopo lo scioglimento del feudo e la concessione in gestione ai comuni. I comuni vendettero le terre demaniali ai privati in seguito ai regolamenti del 1839. La Sardegna era allora divisa in diversi giudicati, a sua volta suddivisi in molte curatorie.

Fonti parziali: Dizionario ufficiale dei comuni e dei centri abitatidati del 4/11/1951 - popolazione residente 1189altitudine 328 m - altitudine del suo territorio da 195 m a 501 m
REPUBBLICA ITALIANA - Istituto Centrale di StatisticaPOPOLAZIONE E MOVIMENTO ANAGRAFICO DEI COMUNIVOL. XV - 1970 Roma



Nell'Anagrafico dei singoli comuni la popolazione residente al 31 dic. 1969 è di 1.322.
di Manlio Brigaglia enciclopedia LA SARDEGNA 1982 - EDIZIONI DELLA TORRE
Dal VOL. I - Nel referendum istituzionale del 1946 vediamo che dei 137 comuni della provincia di Cagliari solo 28 diedero una maggioranza repubblicana, tra cui anche Gesico.
Dal VOL. II - ... Nel 1971 aveva 1235 abitanti.

Angius/Casalis
Dizionario Geografico Storico Statistico Commerciale degli Stati di S.M. IL RE DI SARDEGNAProv. di Cagliari Vol. I (libro del 1840 ca.)Amministrazione provinciale Cagliari - EDITRICE SARDEGNA

Villaggio della Sardegna nella provincia e prefettura di Isili, Gesico è nel mandamento di Mandas, compresa nella Curatoria di Seurgus, dipartimento del Regno cagliaritano.
Gesico è composto da Gesico-mannu e Gesicheddu, separati da un fiumicello. Gesico-mannu è bagnato dall'altra parte dal rio di Mandas. Attraversano il paese due strade principali, una da Mandas a Selegas, l'altra da Siurgus a Villanovafranca. Ci sono a Gesico circa 220 famiglie, con una popolazione di circa 950 abitanti. I gesichesi sono sotto la giurisdizione dell'arcivescovo di Cagliari. La chiesa parrocchiale è nel rione di Gesico-mannu. E' intitolata a Santa Giusta, di bella struttura, con 8 altari ed abbellita con marmi e argenti. Le chiese minori sono 5: S. Maria, la vergine d'Itria che credono essere stata l'antica parrocchiale, che si trova alla fine del paese; S. Amatore, distante pochi minuti dall'abitato; S. Lucia e S. Sebastiano, molto vicine, e S. Mauro, a mezz'ora dalpaese, sul monte Corona. Nel 1817 nacque il campo santo, alle spalle della chiesa di S. Amatore. Le feste principali sono: il 14 maggio per S. Mauro nella cima del monte Corona; per S. Amatore nella terza domenica di ottobre, nella quale si tiene una delle migliori fiere.Infine nel territorio di Gèsico non ci sono meno di 15 nuraghi, in gran parte distrutti.

di Alberto della Marmora
ITINERARIO dell'isola di SARDEGNA - tradotto e compendiato dal Can. Spano 1868 Cagliari - VOL. I - edizione anastatica sui tipi di A. AlagnaEdizione TROIS

"... mentre che verso ponente si vedono spuntare le cime marnose di Punta accuzza, ed il Monte Corona, a basso del quale si nasconde il fangoso villaggio di Gesico (1), indi si arriva sempre in pianura a quello di Mandas."
Aggiunge quindi un commento nella nota:"(1) In questo villaggio si trovano con frequenza monete antiche. Vicino avvi una chiesa campestre Sant' Amatore, in cui si fa una bella fiera. Lungi si vede il Monte Corona nella di cui cima vi è la chiesa di S. Mauro (N.S.)."

di Marcello Serra
ENCICLOPEDIA della SARDEGNA - con un saggio introdutt. intitolato Alla scoperta dell'IsolaGIARDINI EDITORI E STAMPATORI IN PISA

di Gesico cita così:"Piccolo centro della Trexenta (ab. 1.300 circa), situato sulle pendici del M. S. Mauro (m. 501). Nel territorio si trovano i nuraghi Sitziddiri, Su Linu, Columbas, Accas, Su Mulloni, Battudis, Mattas Nieddas. Nella Parrocchiale di S. Giusta si notano alcune strutture del Quattrocento e in quella di santa Maria qualche elemento del sec. XIV. Nella terza domenica di ottobre si svolge qui la Fiera di S. Amatore, destinata ai fidanzati che stanno per mettere su casa."

di Marcello Serra
MAL DI SARDEGNA - EDITRICE SARDA FOSSATARO CAGLIARI
"[...] Ritornati sulla strada principale, dopo il nuraghe Piscu, dove fu ritrovato un cumulo di grano carbonizzato da secoli, un bivio discende a GESICO, piccolo paese incassato in una valle, dove ad ottobre si celebra la grande fiera di S. Amatore. In questa occasione i fidanzati dei paesi vicini vengono a riornirsi del corredo e di quanto occorre per la loro casa. Infatti nelle botteghe sistemate intorno alla chiesa rustica, che si chiamano cumbessias , si può acquistare di tutto. E' dunque questa la festa degli innamorati della Sardegna, e il nome del Santo d'altra parte si adatta perfettamente alla simpatica sagra."

di Salvatore Colomo - Francesco Ticca
SARDEGNA - Immagini di un'isola1984 - VOL. I - EDITRICE ARCHIVIO FOTOGRAFICO SARDO - NUORO

Il paragrafo che riassumo non parla di Gèsico, ma della dominazione Aragonese e Spagnola. Dal 1300 al 1700 la Sardegna fu sotto la dominazione Aragonese, e poi spagnola. Dal 1500 in poi lo stile Gotico-Aragonese ha uno sviluppo notevole, determinato dalla costruzione di moltissime nuove chiese parrocchiali. Nel cagliaritano si trovano importanti esempi di tale stile. Tali chiese hanno in genere la facciata quadrata, coronata da merli e rinforzata ai lati da contrafforti. All'interno, l'uso della volta stellare, costituita da costoni che si incrociano nelle chiavi di volta. [Molto simile alla parrocchia di Gesico, avente le caratteristiche descritte è la chiesa di S. Pietro ad Assemini].

di Luigi Spanu
SAGRE E FESTE POPOLARI NEI COMUNI DELLA PROV. DI CAGLIARI 1987 - Prov. di CA Assessorato allaCultura

"Gesico si trova nel centro dell'estremo settentrione dellaTrexenta, in zona collinare a circa 50 km da Cagliari []. A metà ottobre si tiene la Sagra di S. Amatore. In tale occasione si fa la processione dalla parrocchia alla chiesetta campestre di S. Amatore. Tale chiesa restaurata qualche anno fa, sorge su un'altura alla fine dell'abitato. Risalente al 1500, fu costruita su una cappella a pianta quadrata greco ortodossa. Le reliquie del santo si trovano nell'altare maggiore della parrocchia. La festa di origine antichissima, attira migliaia di persone, essendo uno dei più tradizionali e sentiti culti popolari della trexenta. Un'altra festa altrettanto suggestiva, è quella di S. Mauro, in cui il simulacro del santo viene portato in processione fino alla chiesetta omonima situata su un colle, il monte Corona, circondato da una vasta vallata, la festa dura tre giorni, sul colle e poi in paese, con canti e balli."

di Rinaldo Botticini
GEO Sardegna - Ambiente Uomo Insediamenti 1991 - SOLE Edizioni

Traduce il nome dal sardo gessa=gelso, e quindi gessicu= sito di gelsi." Un susseguirsi di colline che raggiungono i 500-600 mt di altezza e sono intersecate da amene vallate, fanno da sfondo al centro urbano. Esso sorge nel punto di confluenza del torrente Sipiu con gli affluenti e si è sviluppato secondo direttrici parallele al corso d'acqua. La tipologia abitativa è tipica delle zone ad economia pastorale con edifici accorpati lungo le vie. Nuraghi e reperti punico-romani sono presenti in numero notevole sul territorio circostante. Il paese ebbe una storia in epoca medioevale e, nel XVII secolo, fu capoluogo della omonima baronia. [..] Nella parrocchiale di Santa Giusta si alternano vari stili: romano, pisano e gotico-aragonese."C'è anche una foto della chiesa campestre di S.Amatore.

DIZIONARIO DI TOPONOMASTICA
Storia e significato dei nomi geografici italianiUTET

"Località del Campidano a 51 km da Cagliari, è situata in una conca pianeggiante a 300 m. s. m. (TCI Sard. 257). Attestato in RDSard. aa. 1346-1350 Item a presbitero Bernardo Oliverii vicario de Gesico n. 1545 e passim, il toponimo è di origine incerta, verosimilmente prelatina (cfr. Paulis 1987, 432). Fantasiosa è l'interpretazione etimologica di Spano 1872, 54 da una voce fenicia ges "valle, fosso", "luogo basso". La pronuncia locale del nome è gèsico, in dialetto gèsigu (DETI 240). C.M."


conoscere L'ITALIA
Enciclopedia dell'Italia antica e modernaSARDEGNA - ISTITUTO GEOGRAFICO DE AGOSTINI NOVARA

Brevissima citazione come esempio di struttura semplice dei nuraghi: "Più numerosi che in qualunque altra zona dell'Isola sono i nuraghi nella Trexenta (0,9 per chilometro quadrato). Nella esemplificazione dei nuraghi presenti dal Campidano alla Trexenta, cita i vari tipi dai più semplici, composti da un'unica torre circolare, ai più complessi, fatti di molte torri."[...] Talora è aggiunto alla torre circolare... una torre minore e un cortile (Su Covunu, a Gèsico)."


da "Il Giornale della Trexenta"
ANNO I n°2 - Agosto 1992Articolo di Carlo Carta

In un ampio discorso di morale sullo sviluppo economico e socio-culturale della trexenta, viene citato il restauro di Chiese insieme a qualche scavo archeologico, i quali una volta iniziati, sono rimasti fermi in attesa di fondi e di finanziamenti. Tali interventi riguardano anche la parrocchia di S. Giusta.

ANNO I n°6 - Dicembre 1992Articolo di Carlo Carta

Viene citato il Casalis, nel quale viene esaltata la Parrocchia di S. Giusta, per la sua bella struttura, per le sue opere d'arte ma sopratutto per la magnificenza dei suoi marmi. "Oggi le nobili ma vecchie strutture murarie non hanno retto alla pesante copertura, provocando all'interno delle pericolosissime lesioni che immediatamente hanno richiamato un intervento di restauro". "L'inizio dei lavori nell'anno 1989, sono stati finanziati dagli organi regionali preposti con circa £ 200 milioni. Il finanziamento si è però subito dissolto a causa di diverse scoperte. [..] E' stato trovato sotto l'altare maggiore un bellissimo abside, attualmente ancora in studio dalla soprintendenza alle belle arti. [..] Attualmente le funzioni religiose si celebrano in un locale di fortuna ricavato dal Parroco in un vecchio cinema."

Antonello RUGOLO

I tre fratelli alti

Ovvero "Is tres fradis longus".

Francesco, vieni qui vicino al caminetto... ti racconto una favola che mi ha narrato qualche tempo fà nonno Terenzio...
“C'era un tempo una famiglia di contadini...”
Papà, esistono ancora i contadini?
Certo che esistono ancora... ma ora zitto e ascolta...
“Come tutti gli anni subito dopo il raccolto, la prima cosa che facevano i contadini per evitare di morire di fame, era conservare una parte del raccolto da usare nel periodo in cui la terra non produceva... si trattava dei tre mesi di maggio, giugno e luglio, chiamati “is tres fradis longus”...
Papà, cosa significa “is tres fradis longus”?
Tradotto letteralmente dal sardo significa “i tre fratelli alti” ma come ti ho già spiegato era un modo di dire, usato per indicare i tre mesi di maggio, giugno e luglio... i più lunghi perchè non c'era mai abbastanza da mangiare...
Posso continuare ora?
Si papà... continua...
"In quel tempo la moglie del contadino era ammalata per cui, mentre il marito andava a lavorare i campi, lei restava a casa...
Il contadino, separate le provviste, disse alla moglie (che non era una cima!) di non toccare il grano che aveva messo da parte perchè era destinato a “is tres fradis longus”. Una mattina mentre il contadino si trovava in campagna a lavorare la terra, tre persone arrivarono alla fattoria e chiesero se c'era del grano da comprare... Quando si presentarono, la moglie del contadino vedendo che erano tre uomini alti, molto al di sopra del normale, chiese loro se essi fossero i tres fradis longus di cui le aveva parlato il marito..."
Certo che era proprio stupidina... verò papà?
Si...
“Loro annuirono e così la moglie del contadino gli diede il grano, senza chiedere alcuna ricompensa, convinta si trattasse delle persone di cui parlava il marito...
I tre uomini presero il grano e dopo aver ringraziato, andarono via. Al rientro del marito, la moglie lo accolse dicendogli di avere una bella sorpresa per lui...
Il marito chiese cosa era accaduto, e sentito il racconto della moglie, disperato e arrabbiato spiegò, anche se in ritardo, che is tres fradis longus erano i tre mesi di maggio, giugno e luglio, che precedevano il raccolto... e in quei tre mesi, se non si faceva come le formiche che mettono da parte quanto occorre, si moriva di fame...
Il marito, pensando di poter rimediare ai guai provocati dalla moglie, chiese da quanto tempo is tres fradis fossero andati via e lei rispose che era passata appena mezz'ora”.
Papà, cosa vuol fare il contadino?
Li vuole inseguire? E...
Francesco, un po di pazienza, ascolta...
“Il marito disse alla moglie di chiudere la porta di casa e di seguirlo di corsa che forse sarebbero riusciti a raggiungere i tre... La moglie però capì male e, presa la porta sulle spalle, lo seguì di corsa... Nel mentre il contadino, corso avanti, non vedendo ne sentendo più la moglie si girò ad aspettarla e la rimproverò dicendole di correre di più... ma lei che aveva sempre la porta sulle spalle, disse di non riuscire a stargli dietro a causa del peso... Il marito resosi conto che la moglie aveva la porta sulle spalle, disperato, le disse che non aveva capito niente, doveva chiudere la porta e non portarsela appresso!
Si voltò e proseguì la corsa da solo...”
Certo che era proprio scema la moglie...
“Ad un certo punto cominciò a farsi sera così, non avendo ancora raggiunto is fradis longus ed essendo troppo lontani da casa, il marito arrampicatosi su un albero mise la porta tra i rami e prepararò un giaciglio per la notte, al riparo dagli animali del bosco..."
Papà, c'erano i lupi nel bosco?
Francesco...
Scusa... continua...
“Durante la notte, si sentirono delle voci... tre ladri si erano fermati, infatti, sotto l'albero per dividere il bottino delle loro malefatte...
I due contadini spaventati stettero in silenzio...
Mentre i briganti facevano i conti, la moglie da troppo tempo senza andare in bagno e forse anche per la paura disse al marito di aver bisogno di fare la pipì...
Il marito infastidito le rispose che se proprio non riusciva a trattenerla, che la facesse goccia a goccia cosicchè i ladri non si allarmassero!
E così fù... I ladri di sotto, sentendo gocciolare, pensarono si trattasse di rugiada...
Poi la moglie disse al marito che aveva bisogno di fare anche la cacca...
Il marito, sempre più disperato le disse che, se proprio non riusciva a trattenerla, la facesse almeno a pezzetti piccoli..."
Che schifo, papà...
La storia è così... se vuoi smetto...
No dai... papà, continua...
“Dunque... uno dei ladri, sentendosi colpito... si lamentò ma l'altro gli disse che, trovandosi sotto un albero, si trattava certamente di “arrosu de notti e merda 'e pizzoni” cioè di rugiada e cacca di uccello...
Il contadino, in quel momento, pensando alle difficoltà cui sarebbe andato incontro a causa della stupidità della moglie... decise di provare a prendersi i soldi dei ladri. Quindi, fatta spostare la moglie su un ramo, prese la porta e la lanciò sui banditi...
Il bandito che aveva i soldi rimase intrappolato e gli altri due scapparono per la sorpresa...
Allora il contadino, buttatosi sul bandito, gli tagliò la lingua per evitare che potesse dare l'allarme e quindi gli portò via i soldi... Gli altri due banditi che si erano allontanati di corsa, resisi conto della assenza del complice cominciarono a chiamarlo... ma lui, con la lingua tagliata, riusciva a fare solo dei versi che, di notte, spaventarono ancora di più i due banditi che scapparono senza più pensare al bottino... Il contadino e la moglie, così, senza più il grano dei fradis longus ma con i soldi presi ai banditi tornarono a casa felici di aver risolto il loro problema...”
Papà, sai che è una storia veramente strana?
Qual è la morale della favola?
A scuola ci hanno detto che tutte le favole antiche avevano una morale...
Hai ragione, di solito è così... ma questa favola non ha una morale... oppure chi me la raccontò la prima volta non la ricordava più...
L'unica cosa che mi disse è che questa era una delle favole che gli raccontavano i genitori quando stanchi dopo una dura giornata di lavoro per i campi, rientravano a casa... e dovevano mettere i figli a letto!
Ora però è tardi... per cui buona notte e a domani...
se fai da bravo domani te ne racconto un'altra...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO

venerdì 9 maggio 2008

Gesico, tra magia e tradizione...

Gesico, piccolo paese della provincia di Cagliari, dedito all’agricoltura e alla pastorizia, conosciuto dagli amanti delle lumache e delle sagre popolari, conserva nei ricordi dei suoi anziani abitanti pezzi di storia non scritta e di tradizioni popolari.
Fermatevi un attimo a parlare con un anziano paesano e scoprirete che ha tante cose da raccontarvi... più di quante possiate immaginare.
Mi é capitato spesso di intrattenermi con qualche anziano e ho approfittato di quelle occasioni per cercare di conoscere un poco meglio i miei antenati, ormai morti, per bocca di chi li aveva conosciuti...Un giorno, quasi per caso, mi capitò di parlare di uno di quegli argomenti che solitamente non viene trattato da nessuno, i guaritori ( is brusciusu). Il guaritore, di solito una anziana donna, solitamente si occupa di una sola “malattia”, per cui se si vuole salvare il vigneto dai ripetuti attacchi degli uccelli ci si deve rivolgere ad una persona che reciterà i versi per non beccare l’uva ( is brebusu po no biccai s’ascina), se invece si ha bisogno di curare il fastidioso insetto conosciuto come “ la mosca dei pastori “ (sa musca de is pastorisi) bisognerà rivolgersi ad altra persona.In ogni caso, per la buona riuscita della “medicina” (sa meiscina) é richiesta una fede incondizionata della persona interessata nei confronti del guaritore e della sua magia.
Il rituale solitamente é abbastanza semplice, si svolge senza che nessuno , eccetto l’interessato, sia presente.Spesso vengono introdotti degli elementi personali nella “medicina”, é questo il caso della medicina contro la mosca dei pastori, in cui durante il cerimoniale viene ripetuto più volte il soprannome (s’allumingiu) del malato.
La mosca del pastore é un fastidioso insetto che si può trovare spesso con le pecore, si riconosce perché ronza intorno alla faccia e poi, raggiunta l’angolazione giusta, spruzza verso il viso della persona presa di mira le sue uova, che impiegano nove giorni a raggiunge lo stadio larvale e poi altri nove giorni per scomparire.
Durante tutto questo periodo il malato soffre di fastidiosi disturbi alle vie respiratorie,( naso, gola) e in alcuni casi anche gli occhi sono attaccati da questo insetto. Ma in quale modo la medicina popolare cura questa malattia?
Il guaritore, interessato dal pastore colpito dalla malattia, raccoglie una manciata di polvere da terra la soppesa in una mano pronunciando in maniera incomprensibile formule segrete, alternate al soprannome del malato, quindi la polvere viene passata sull’altra mano e il rito, dopo altre formule segrete, é terminato. Se tutto é andato bene, dopo qualche giorno il malato si sentirà già meglio... altrimenti...
In alcuni casi viene stabilito quasi un accordo tra lo stregone e la “malattia”, é questo il caso della “medicina per non far beccare l’uva agli uccelli”. In questo caso “su brusciu” girerà per la vigna mormorando parole incomprensibili, poi raggiunto un luogo prefissato segnerà alcune piante riservate agli uccelli e dirà che tutte le altre non devono essere toccate.Se tutto va bene gli uccelli mangeranno solo dell’uva a loro riservata senza toccare il resto del raccolto!Nella tradizione popolare di Gesico e di altri paesi della zona, si ricorreva “assu brusciu” anche per altri motivi, come la cura del malocchio oppure, per fare innamorare la persona desiderata o per curare i porri.
In passato questo tipo di medicina era molto più usata mentre ora se ne sta perdendo il ricordo ed alcune persone avevano fatto di questi rimedi una fonte di guadagno, al guaritore veniva infatti corrisposto un compenso. Naturalmente c’era sempre qualcuno che per interesse fingeva di essere un guaritore e cercava di imbrogliare il prossimo, per questo motivo vennero creati e vengono tuttora tramandati dei graziosi aneddoti, questo é uno di quelli che ho sentito raccontare in dialetto gesichese e che qui traduco cercando di essere il più fedele possibile al testo e al modo in cui viene raccontato:
Si era in un tempo in cui le pecore erano malate di una peste che le faceva morire, il pastore allora si rivolse al prete che gli disse che avrebbe fatto tutto ciò che poteva. Il prete prese dell’acqua santa e si recò dal pastore che lo portò dove aveva il suo gregge. Il prete benedì le greggi e poi legò una sottile striscia di pelle al collo di una pecora. Il pastore sperava che tutto andasse bene ma così non fu. Un giorno, vedendo che le pecore continuavano a morire prese la striscia di pelle che era stata legata al collo della pecora e vi trovò una scritta che diceva:
“Sa chi mori moridi, sa chi campa campada”
(Quella che muore muore , quella che vive vive)
Il passato ci insegna tante cose, bisogna solo avere il coraggio di imparare...
Alessandro Giovanni paolo RUGOLO

La riscoperta del passato

Il passato, ricco di rovine, di morti e di nascite, di insegnamenti dimenticati e sconosciuti ai più... che se raccontato in modo adeguato spesso riserva delle piacevoli sorprese...
Tutti conserviamo una parte del passato, una foto, una lettera della nostra gioventù o di quella dei nostri genitori e nonni, un vecchio mobile, l'immaginetta della prima comunione di un bimbo che nessuno ricorda più... semplicemente un ricordo a noi caro...
Eppure solo in pochi sono in grado di capire fino in fondo il “valore” delle cose antiche, al di là del valore affettivo o venale che possono avere. Sono in pochi a saper leggere nel passato gli insegnamenti sempre validi, sempre più spesso dimenticati tra le pagine di un libro di storia... in soffitta, sul fondo di una cassa polverosa!Ci muoviamo tutti i giorni tra resti del passato che aspettano solo di essere letti nei loro significati più profondi.
Il passato va’ letto, conosciuto, studiato, per trarne quegli insegnamenti che possano guidarci nel presente per avere un futuro migliore. Ecco perché mi dedico, sempre più frequentemente allo studio del passato, delle cose antiche, delle tradizioni popolari, di cui é tanto ricca la “mia” Sardegna. Le tradizioni popolari sono forse quella parte del passato più vicina a noi... è sufficiente guardarsi intorno, avere il coraggio di fermarsi a parlare con gli anziani del paese per sentire storie inedite di vita vissuta... o semplicemente, racconti fiabeschi...
Normalmente, le tradizioni popolari venivano tramandate oralmente, nei momenti in cui non si lavorava, durante una pausa, durante un temporale, attorno al caminetto... poi l’arrivo della elettricità, della radio, della televisione, il cambiamento delle attività lavorative, le diverse abitudini di vita, hanno “distrutto” quei ritagli di tempo che si dedicavano ai racconti che tanti di noi, come i nostri padri, hanno sentito da piccoli. Storie di stregoni, di mostri, di furberie o semplicemente storie di vita, che solitamente avevano una morale, più o meno evidente, talvolta dimenticata...
Si trattava, in generale, di momenti istruttivi che nella nostra società, in linea di massima, sono venuti a mancare in quanto devoluti ad istituzioni troppo grandi e complesse per occuparsi di “tradizioni popolari”. Nei miei racconti, ho cercato di ricreare l’atmosfera familiare... di quei “momenti magici” come mi piace chiamarli, ricreando l’ambiente di una famiglia riunita attorno al camino acceso, o comunque creando delle situazioni di “libertà dal presente” che permettano un “ritorno al passato”. Per esempio la mancanza di energia elettrica durante un temporale é, a mio parere; un ottimo espediente per far si che il più anziano della famiglia possa iniziare un racconto. Un consiglio? Provateci anche voi... più tardi, quando avete finito di navigare sul web, spegnete la TV e chiamate intorno a voi vostro figlio e vostra moglie, classica famiglia moderna di tre persone... e leggete una delle mie storie, a voce alta, simulando la luce soffusa del camino con una lampada da tavolo... non è la stessa cosa... ma meglio che niente... Credo di aver spiegato con sufficiente chiarezza il mio intento, per cui vi lascio alle letture...
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO