Per chi non avesse letto i precedenti ecco il link alla prima parte dell'articolo.
Ricordi dell'isola di Sardegna
del Conte di Minerva
(Parte Seconda)
Il cavaliere che aveva appena attirato la mia attenzione si separò prontamente dal gruppo dei curiosi; egli aveva riconosciuto in me lo straniero che il signor Feralli attendeva, e teneva a rimettere senza ritardo una lettera che il mio ospite mi indirizzava.
Il signor Feralli mi annunciava che trattenuto da alcuni ostacoli imprevisti in un paese vicino, Alghero, non era potuto venire egli stesso fino a Porto Torres. Il suo amico, il signor Gian-Gianu, uno dei ricchi proprietari - pastori dell'isola, l'aveva sostituito.
Quell'amico cortese si trovava di fronte a me, lo capii immediatamente, e così tesi la mano al signor Gian - Gianu che solo in quell'istante si tolse il suo cappello frigio dicendomi: Ello non parla italiano?
Gli risposi che parlavo l'italiano molto male, ma che ero in grado di capirlo abbastanza bene. Visibilmente soddisfatto il giovane uomo mi strinse ancora una volta la mano e mise a mia disposizione un cavallo affidato ad uno dei suoi domestici che lo teneva alla briglia a qualche passo da noi. Il domestico indossava, come la sua guida, il costume degli antichi abitanti dell'isola: solo un rozzo cappotto in lana nera sostituiva il "collete".
"Noi possiamo - mi disse Gian-Gianu - scegliere tra due strade diverse per giungere alla cittadina di Alghero, dove il signor Feralli è stato trattenuto. Si potrebbe raggiungere Alghero passando per Sassari oppure attraversando le montagne della Nurra e Porto Conte. La prima strada è più corta e meglio tracciata ma meno interessante, la seconda invece, più pittoresca, ci offrirebbe anche l'occasione di incontrare il signor Feralli a Porto Conte in quanto egli stesso dovrà fare una escursione con alcuni amici nei pressi di quella borgata. Da Porto Conte ripartiremo con il signor Feralli sulla barca da lui utilizzata per recarvicisi."
Non era il caso di esitare: optai per la strada di Porto Conte. Qualche minuto dopo stavamo in piena campagna. Davanti a noi si estendeva una terra molto bassa, talvolta arida e rocciosa, talaltra verdeggiante, fino alla riva del mare. Qua e là apparivano delle povere abitazioni o qualche cespuglio di lentisco. Delle piante di aloe e dei cactus bordavano il sentiero. Un grande silenzio regnava su questa pianura spopolata dalle febbri. La superammo felicemente. Dalla seconda ora di marcia ci inoltrammo nella macchia di lentisco e di palme nane che si inframezzavano alle rocce di altezza ineguale. Poco alla volta gli alberi rimpiazzarono i cespugli. Una curva della strada ci condusse al più alto gradino di un anfiteatro circondato da muratura in pietra a secco tappezzata da viti rampicanti. Questi montarozzi, questi gradini interrompevano più d'una volta la marcia del viaggiatore. Quando se ne discende ci si ritrova in stretti passaggi nascosti sotto il lentisco, dove si passa con gran pena, incrociando di tanto in tanto una fila di buoi dal corpo esile e dalle corna lunghe e aguzze. Il pastore, coperto da una pelle d'agnello si ritira al vostro avvicinarsi, immobile come una statua, seguendovi con lo sguardo. Infine si intravvede una qualche larga uscita: il passaggio coperto diviene una gola. già appaiono le linee bluastre delle cime lontane, immerse nella luce. Alla fine della gola ci si trova di fronte all'aperta campagna, piena di sole e di vapori dorati e che confina in lontananza con una catena di rocce grigiastre fieramente stagliate contro l'azzurro del cielo.
Ora mi interrompo, la prossima parte la settimana prossima, a presto.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO