giovedì 3 luglio 2014

Su goppai miu de Casteddu (Il mio compare di Cagliari)

Ancora si raccontano, a Gesico, storielle antiche che parlano dell'ingenuità delle persone umili.
Eccone una, raccontata da mia nonna Annunziata Carboni, che la cara zia Nina pochi giorni fa ha riportato alla mia memoria.

Un signore deve mandare un dono ad un compare che abita a Cagliari.
Siamo negli anni '50.
Chiama la domestica e le dice: "Porta custu presenti a goppai Luigi".
     (Porta questo regalo a compare Luigi)
La ragazza, un po preoccupata risponde: "Sissignore, ma in dui dia deppi pottai?"
     (Sissignore, ma dove lo devo portare?)
"A Casteddu 'ndui bivvidi su goppai miu!"
     (A Cagliari, dove vive compare Luigi)
"A Casteddu?" Risponde la domestica.
     (A Cagliari?)
"Ma su merixeddu miu caru, deu non mi sciu giostrai beni in Casteddu, ma bandu cun d'una amiga mia cara, issa esti prusu acculturada de mei".
     (Ma, padroncino mio caro, io non mi so giostrare bene a Cagliari, ma vado con una mia amica che è più acculturata)
Così le due ragazze partono per la città.
Una volta arrivate, la ragazza più sveglia chiede all'altra quale fosse l'indirizzo.
La domestica risponde: "Su merixeddu m'a nau de bussai e domandai de goppai Luigi"
      (Il padroncino mi ha detto di bussare e chiedere di compare Luigi)
Così le due ragazze bussano alla prima porta che trovano.
- "Cosa volete?" Risponde una voce da dietro la porta chiusa.
"Esti vi signoria goppai Luigi?" Dicono timidamente le due ragazze paesane.
      (E' Lei compare Luigi?)
- Andate via, puttane zozze! Risponde una voce dall'interno scambiandole per donne di malaffare.
Le ragazze, capendo male, ringraziano e si allontanano.
"Duncasa, deppeusu bussai in cussa via e in cussa porta! DIce la più acculturata alla domestica.
     (Dunque, dobbiamo bussare in quella via e in quella porta.)
Si spostano di pochi metri e bussano ancora: - Toc, toc...
"Bivvidi innoi su signori nostru?" Chiedono ancora le due ragazze.
     (Abita qui, il signore nostro?)
Affacciandosi, una voce gentile risponde: "Chi cercate, signorine belle?"
"Ciccausu su signori nostru. Pottausu uno presenti de su goppai de vi signoria"
     (Cerchiamo il nostro signore. Portiamo un dono del suo compare.)
- Entrate pure - risponde l'uomo pregustando i doni - Cosa mi manda il mio bravo compare? Chiede interessato.
"Pottausu unu porceddu, pani de simbua e is pardulasa po fai una bella Pasca."
     (Portiamo un maialetto, pane di semola e le formaggelle per fare una buona Pasqua)
- Ma prego, accomodatevi pure. Risponde l'uomo furbescamente, approfittando della ingenuità delle due ragazze.
- Siete arrivate nella casa giusta e ringraziate tanto il compare per essersi disturbato con tutto questo ben di dio.
Le ragazze così tornano a casa soddisfatte.
Al loro rientro il padrone chiede come è stato il viaggio e se è stato facile trovare il compare.
"Facili facili, eusu bussau in sa prima porta e s'anti arrespustu - in cussa via e in cussa porta! -
      (Facilissimo, abbiamo bussato alla prima porta che ci è capitata e ci hanno risposto "in quella via e in quella porta")
Il padrone è così soddisfatto del lavoro svolto, ignorando però che il suo compare non aveva ricevuto niente!

Demuro Fernanda

domenica 27 aprile 2014

Favole della tradizione popolare in Sardegna e i fratelli Grimm

Nel 2008 ho sentito per la prima volta la storia de "is tres fradis longus" (i tre fratelli lunghi, o alti) e ricordo bene che mi stupì il fatto che si trattava di una storia complicata, dove solo alcune parti erano istruttive (secondo il mio punto di vista di uomo del duemila! Diverso doveva essere per le persone per cui era stata inventata...).
Qualche giorno fa mi sono imbattuto in una favola dei fratelli Grimm, una di quelle poco conosciute, nella quale ho subito notato le analogie con quella de "is tres fradis longus". La favola dei Grimm, per chi volesse leggerla" è intitolata "Federico e Caterinella" ed è una delle favole della tradizione popolare tedesca raccolta dai due fratelli linguisti.

La favola raccolta da me è la seguente

C'era un tempo una famiglia di contadini,
come tutti gli anni subito dopo il raccolto, la prima cosa che facevano i contadini per evitare di morire di fame, era conservare una parte del raccolto da usare nel periodo in cui la terra non produceva. Si trattava dei tre mesi di maggio, giugno e luglio, chiamati “is tres fradis longus”.
In quel tempo la moglie del contadino era ammalata per cui, mentre il marito andava a lavorare i campi, lei restava a casa.
Il contadino, separate le provviste, disse alla moglie (che non era una cima!) di non toccare il grano che aveva messo da parte perchè era destinato a “is tres fradis longus”.
Una mattina mentre il contadino si trovava in campagna a lavorare la terra, tre persone arrivarono alla fattoria e chiesero se c'era del grano da comprare.
Quando si presentarono, la moglie del contadino vedendo che erano tre uomini alti, molto al di sopra del normale, chiese loro se essi fossero i tres fradis longus di cui le aveva parlato il marito.
Loro annuirono e così la moglie del contadino gli diede il grano, senza chiedere alcuna ricompensa, convinta si trattasse delle persone di cui parlava il marito.
I tre uomini presero il grano e dopo aver ringraziato, andarono via. Al rientro del marito, la moglie lo accolse dicendogli di avere una bella sorpresa per lui.
Il marito chiese cosa era accaduto, e sentito il racconto della moglie, disperato e arrabbiato spiegò, anche se in ritardo, che is tres fradis longus erano i tre mesi di maggio, giugno e luglio, che precedevano il raccolto e in quei tre mesi, se non si faceva come le formiche che mettono da parte quanto occorre, si moriva di fame.
Il marito, pensando di poter rimediare ai guai provocati dalla moglie, chiese da quanto tempo is tres fradis fossero andati via e lei rispose che era passata appena mezz'ora.
Il marito disse alla moglie di chiudere la porta di casa e di seguirlo di corsa che forse sarebbero riusciti a raggiungere i tre.
La moglie però capì male e, presa la porta sulle spalle, lo seguì di corsa.
Nel mentre il contadino, corso avanti, non vedendo ne sentendo più la moglie si girò ad aspettarla e la rimproverò dicendole di correre di più ma lei che aveva sempre la porta sulle spalle, disse di non riuscire a stargli dietro a causa del peso.
Il marito resosi conto che la moglie aveva la porta sulle spalle, disperato, le disse che non aveva capito niente, doveva chiudere la porta e non portarsela appresso!
Si voltò e proseguì la corsa da solo.
Ad un certo punto cominciò a farsi sera così, non avendo ancora raggiunto is fradis longus ed essendo troppo lontani da casa, il marito arrampicatosi su un albero mise la porta tra i rami e prepararò un giaciglio per la notte, al riparo dagli animali del bosco.
Durante la notte, si sentirono delle voci, i tre ladri si erano fermati, infatti, sotto l'albero per dividere il bottino delle loro malefatte.
I due contadini spaventati stettero in silenzio.
Mentre i briganti facevano i conti, la moglie da troppo tempo senza andare in bagno e forse anche per la paura disse al marito di aver bisogno di fare la pipì.
Il marito infastidito le rispose che se proprio non riusciva a trattenerla, che la facesse goccia a goccia cosicchè i ladri non si allarmassero!
E così fù... I ladri di sotto, sentendo gocciolare, pensarono si trattasse di rugiada.
Poi la moglie disse al marito che aveva bisogno di fare anche la cacca.
Il marito, sempre più disperato le disse che, se proprio non riusciva a trattenerla, la facesse almeno a pezzetti piccoli.
Uno dei ladri, sentendosi colpito, si lamentò ma l'altro gli disse che, trovandosi sotto un albero, si trattava certamente di “arrosu de notti e merda 'e pizzoni” cioè di rugiada e cacca di uccello.
Il contadino, in quel momento, pensando alle difficoltà cui sarebbe andato incontro a causa della stupidità della moglie decise di provare a riprendersi il grano e i soldi che avevano i ladri. Quindi, fatta spostare la moglie su un ramo, prese la porta e la lanciò sui banditi.
Il bandito che aveva i soldi rimase intrappolato e gli altri due scapparono spaventati per la sorpresa.
Allora il contadino, buttatosi sul bandito, gli tagliò la lingua per evitare che potesse dare l'allarme e quindi gli portò via i soldi.
Gli altri due banditi che si erano allontanati di corsa, resisi conto della assenza del complice cominciarono a chiamarlo ma lui, con la lingua tagliata, riusciva a fare solo dei versi che, di notte, spaventarono ancora di più i due banditi che scapparono senza più pensare al bottino. Il contadino e la moglie, così, senza più il grano dei fradis longus ma con i soldi presi ai banditi tornarono a casa felici di aver risolto il loro problema.

La favola dei Grimm è molto simile.
Vi è una coppia di contadini, Federico e Caterinella, appena sposati, che vivono in campagna. Federico va tutti i giorni a lavorare i campi e un giorno chiede alla moglie di fargli trovare per il suo ritorno delle salsicce cotte e della birra fresca. La moglie pasticciona mette a cuocere le salsicce e poi si allontana dal fuoco per andare a spillare la birra in cantina. A metà del lavoro le viene in mente che qualche cane potrebbe rubarle la salsiccia così abbandona la birra e torna in cucina giusto in tempo per vedere un cane scappare con la salsiccia in bocca. Lo insegue ma senza successo. Quando torna a casa si rende conto che la birra ha traboccato. La botte è vuota e la cantina sporca.
Caterinella decide di ripulire la cantina e per farlo usa la farina messa da parte dal marito.
Quando il marito torna a casa per pranzo Caterinella gli racconta tutto ciò che ha combinato. Il marito la rimprovera ma il danno è fatto. Il contadino aveva messo da parte delle monete d'oro e per paura che la moglie facesse altri danni le disse che avrebbe messo da parte delle cicerchie gialle per il futuro. Così mise le cicerchie nella stalla sotto la mangiatoia e disse alla moglie di tenersi alla larga altrimenti se ne sarebbe pentita. Un giorno giunsero a casa di Caterinella dei mercanti di pentole che chiesero se volesse acquistare qualcosa. Caterinella non aveva soldi per cui disse che al massimo poteva pagare con delle cicerchie gialle che si trovavano nella stalla ma avrebbero dovuto far da soli perchè lei non poteva avvicinarsi alle cicerchie per ordine del marito. I mercanti andarono nella stalla, rubarono le monete d'oro e scapparono lasciando le loro pentole alla povera Caterinella. Caterinella aveva già tante pentole a casa per cui decise di usare quelle nuove che aveva acquistato per ornare il giardino.
Quando il marito tornò a casa vide le pentole intorno al giardino e chiese alla moglie che cosa fosse quella novità. Caterinella raccontò dell'acquisto fatto grazie alle cicerchie gialle.
Il marito disperato spiegò alla moglie cosa avesse combinato. Ma ormai il danno era fatto.
Decise di inseguire i mercanti e dopo una prima disavventura in cui la moglie spalma di burro delle rotaie e perde le forme di formaggio per strada, Federico dice alla moglie di andare a casa a prendere qualcosa da mangiare e di assicurarsi che la porta di casa sia ben chiusa e poi di seguirlo con delle provviste. lui l'avrebbe preceduta cercando di raggiungere i ladri. La moglie pensò bene di chiudere la parte superiore della porta e di portarsi appresso la parte inferiore, in questo modo il marito sarebbe stato tranquillo che nessuno avrebbe potuto rubare la porta, pensò lei.
Caterinella raggiunse il marito con delle pere secche e dell'aceto per le pere e con la porta sulle spalle.
Quando il marito la vide le chiese per quale motivo avesse la porta sulle spalle. Lei gli rispose che in questo modo lui stesso avrebbe potuto controllare la porta.
Giunti nel bosco salirono su un albero per passare la notte. Proprio in quel mentre sotto di loro arrivarono i ladri che si fermarono sotto il loro albero. Caterinella continuava a reggere la porta, l'aceto e le pere secche e non ce la faceva più per cui lasciò cadere le pere col rischio che i ladri li scoprissero. Ma i ladri pensarono che si trattasse dello sterco di qualche uccello che stava sull'albero. Poi Caterinella non riuscendo a reggere l'aceto lo versò di sotto e i ladri pensarono si trattasse di rugiada. Alla fine, esausa, Caterinella fece cadere la porta. I ladri si spaventarono e scapparono lasciando i soldi per terra.
Federico e Caterinella scesero dall'albero e trovati i soldi se ne tornarono a casa.
La storia della stupidità di Caterinella naturalmente prosegue ancora un pò ma penso che ci si posssa fermare quà.

Credo che le due favole lette assieme possano completarsi e spiegarsi a vicenda. Probabilmente si tratta di due diverse versioni della stessa favola di base in cui alcuni elementi sono stati mantenuti, altri variati per non offendere la sensibilità del pubblico.
Nella favola dei Grimm, la caduta delle pere e dell'aceto ha sostituito i bisogni della povera Caterinella. Grazie alla favola dei Grimm è possibile inoltre spiegare il perchè la contadina si sia portata appresso la porta, cosa che dalla favola della Sardegna non era possibile capire.

Le favole sono istruttive e la morale credo hce sia questa: "Occorre sempre stare in guardia perchè i pericoli maggiori sono spesso all'interno della nostra stessa famiglia e la stupidità è forse la cosa da temere di più."
 
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO


 



martedì 1 aprile 2014

Goggius e muttettus a Gesico - (Canti popolari)

Tempo fa avevo cominciato a raccogliere canti della tradizione popolare del mio paese, Gesico.

Alcuni li potete leggere nel primo articolo sull'argomento: Gesico - Is Muttettus (Canti popolari della Sardegna).

Eccovene di seguito qualche altro, raccolto da mia madre Nanda proprio in questi giorni, grazie alla memoria sempre pronta di zia Nina.

Si tratta di alcuni muttetti che avevano come argomento le giovani del paese di Gesico descritte in modo talvolta ironico per metterne in risalto alcune caratteristiche.
Ma bando alle ciance, eccovi i primi muttetti, seguiti dalla loro traduzione, in attesa che zia Nina ne riporti altri alla memoria:

Aventina Schirru,
bella e curiosa,furba e spiritosa,
de su ballu sardu esti una regina,ancora non esti sposa
e pagu ad'atturai.
Trad:
Aventina Schirru,
bella e curiosa, furba e spiritosa,
del ballo sardo è una regina,
ancora non è promessa sposa, ma poco ci vorrà.

Livia Bernardini,
dipendidi de un ramu fini
e a cunvinci a chini d'ada acquistai.
Trad:
Livia Bernardini,
appartiene ad una famiglia nobile
ancora si deve presentare colui che la chiederà in sposa.

Iolanda Schirru
bogada un modellu,
unu frori bellu non d'ada mancai.
Trad:
Iolanda Schirru
indossa un modello,
un fiore bello non le mancherà.

Sebastiana Contu
aspettada sa primavera e
paridi una passionera pronta a sbocciai.

Trad:
Sebastiana Contu
attende la primavera
e sembra un fiore di passiflora pronto a sbocciare

Teresina beccia
Teresina beccia, innui sesi,
t'appu sciccau
ma su 'entu ti nd'adi pigau
e in s'arru t'appu agattau.
Trad:
Vecchia Teresina
Vecchia Teresina, dove sei,
ti ho cercata
ma il vento ti ha portato via,
e nei rovi ti ho ritrovata.
Così vi lascio, in attesa che zia Nina ricordi qualche altro brano della vita passata del mio paese, Gesico.
Grazie mamma, grazie zia Nina, per questi ricordi.
Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO e Fernanda DEMURO

martedì 21 gennaio 2014

Dodici racconti per un anno

Scrivere un racconto è una fantastica esperienza.
Non è facile ma lascia in bocca il dolce sapore del miele.
La fantasia e lo studio devono supportare ogni storia. L'inizio e la fine ne decretano il successo ma solo se ogni parola, ogni immagine che si vuole trasmettere è curata con attenzione.
Questo è il mio secondo libro di racconti, spero sia meglio del primo.

Buona lettura!

Dodici racconti per un anno

Alessandro Giovanni Paolo Rugolo

domenica 19 gennaio 2014

Ancora sulla storia di Gesico

Ho riletto qualche giorno fa un vecchio articolo scritto da mio fratello Antonello su Gesico: Gesico nei libri, così ho pensato di aggiungere qualche informazione curiosa che mi è capitato di trovare in questi anni.
Cominciamo con il parlare di Gesico nel periodo della conquista spagnola della Sardegna.
Le notizie sono tratte dalla Historia general de la Isla, y Reyno de Sardeña Di Francisco de Vico (1639).
Siamo nel 1324 quando avviene l'infeudazione della Villa di Gesico.
L'autore ci racconta che l'Infante don Alonso in quell'anno concesse la Villa di Gesico in feudo con un censo di cinquanta fiorini d'oro a Pedro Marco consigliere di Barcellona.
Qualche anno dopo, nel 1331, Gesico fu venduta a Ramon Desvall al prezzo di 35.000 monete Alfonsine con decreto reale del Re don Alonso. In quell'anno Gesico passa sotto la giurisdizione di Valencia.
Nel 1335 Dona Catalina Desvall rivende al Re don Pedro Gesico, unitamente ai paesi di Sabolla, Pirri, Salvatrano, Corongio, Mandras (Mandas) e Nurri.
Qualche anno dopo, nel 1368 il Re fa dono di Gesico a Antonio Puig (o Poualt). Antonio Puig fece dono di Gesico a sua figlia Iuana nel 1376 che si sposò con Marco Momboy.
A Marco Momboy succedette il figlio Juan. La moglie di Marco Momboy invece lasciò la sua parte ai figli IoàAntonio, Matheo e Marco.
Qualche anno dopo ritroviamo Gesico tra le proprietà di Juan, figlio di Juan Momboy. Nel 1450 il paese di Gesico, assieme a Samazay, Gonniperas, Barrali e Samassi passa di proprietà di Francisco de Eril, Governatore Generale del Regno di Sardegna, al prezzo di 1500 fiorini d'oro d'Aragona.
La famiglia Eril tenne il possesso di Gesico fino al 1541 quando la vendette assieme ad altri paesi a don Salvador Aymerich che due anni dopo dichiarò di averle acquistate su commissioni del Dottor Pedro Sanna di Bruno Letrado di Cagliari, che ne assunse la proprietà.
Alla sua morte, nel 1545, la Villa di Gesico passò, assieme ad altre proprietà, al figlio Tiberio Sanna.
Tiberio Sanna lasciò i suoi possedimenti al figlio Iuan Bautista nel 1580. Gli succedette don Ioseph Sanna e a questo il figlio Iuan Bautista che al momento della pubblicazione del libro, 1639, possedeva la proprietà di Gesico.
Occorre saltare un secolo per trovare nuovamente traccia del paese di Gesico nei testi. Nella "Genealogia de la nobilissima familia de Cervellòn di Manuel Maria Ribera, pubblicato nel 1733 grazie al sostegno di Donna Antonia Sanna, moglie di don Francisco de Cervellòn.
L'autore racconta infatti che un avo di Donna Antonia, don Tiberio Sanna Barone di Gesico, sposò Donna Benita de Cervellòn, si tratta probabilmente dello stesso Tiberio visto poco fa.
Nel libro Ribera racconta le origini nobili della famiglia Sanna facendole risalire al 1353, grazie ai meriti di due fratelli, Lorenzo e Giovanni Sanna, che servirono con onore sotto la Corona reale durante le guerre di Sardegna.
Fu Don Pedro III che nel 1354 li investì di un grande territorio, per ringraziarli delle loro opere e della loro fedeltà anche di fronte al pericolo corso in tempo di guerra.
Da allora i Sanna divennero una delle famiglie più ricche e importanti del paese di Gesico.
Ora devo nuovamente fare un salto di quasi un secolo per trovare altre notizie di gesico, nel libro "Storia di Sardegna dall'anno 1799 al 1816" di Pietro Martini.
Si parla di un periodo in cui la Sardegna dipendeva dal Piemonte. Dal 1815 esisteva una "segreteria di stato per le cose della Sardegna" il cui capo era Silvestro Borgese, che era stato in servizio a Cagliari dal 1772 al 1792 come "professore di sagri canoni" e "aggiunto alla reale udienza" e "avvocato fiscale regio".
Doveva essere un periodo abbastanza burrascoso per la Sardegna (e non solo!) e Gesico non era un paese tranquillo.
Dice Pietro Martini che sono da ricordare i tumulti di Gesico, dove fu arrestato il nobile Giovanni Diana, nonostante la protezione di cui godeva da parte del Marchese di S. Tomaso.
Alla cattura del Diana partecipò un tal Giovanni Corrias. Il Marchese (o Barone?) cercò di vendicarsi arrestando il Corrias ma il Re lo rimproverò. Il nobiluomo si ritirò a Gesico e probabilmente ebbe la sua parte nel sollevamento della popolazione contro il prete, amico del Corrias.
Il governo spedì a Gesico le sue truppe e la popolazione fu così ridotta all'obbedienza.


Alessandro Giovanni Paolo RUGOLO